Cosa condividiamo con gli altri Centri associati all'Unione Buddhista Italiana

Nei testi canonici vengono raccontati gli ultimi momenti della vita del Buddha. Alla sua morte non lasciò alcun successore, bensì si preoccupò un'ultima volta di sottolineare il suo insegnamento: “Ed ora, o monaci, vi dico: tutti i dhamma condizionati sono per natura soggetti a decadere. Continuate ad esercitarvi, instancabilmente!”. (Digha Nikaya,16)

All'inizio mancava anche un Corpus Canonico codificato.

In seguito gli insegnamenti si diffusero e, a conferma del loro carattere universale, si assimilarono spesso alle diverse culture e realtà locali, dando vita a numerose scuole, tanto che si può parlare di “buddhismi”. 

Il carattere aperto, non dogmatico, non giudicante che caratterizza il Dhamma consente oggi la collaborazione di molti centri, pur diversi per molti aspetti, nell'associazione che li riunisce: l'Unione Buddhista Italiana.

Ciò che condividono tutti i Centri affiliati sono:

  • il contenuto del primo sermone del Buddha, la messa in moto della ruota del Dhamma, ovvero le quattro nobili verità;

  • i tre gioielli, ovvero il Buddha, il Dhamma, il Sangha.

Le quattro nobili verità

Alla base degli insegnamenti del Buddha, portati avanti per 45 anni nella pianura del Gange, ci sono le Quattro nobili verità:

  1. La verità della sofferenza.

  2. La verità dell’origine della sofferenza.

  3. La verità della fine della sofferenza.

  4. La verità della via d’uscita attraverso l’ottuplice sentiero.

La prima nobile verità – la verità della sofferenza (dukkha) – non ha nulla di pessimistico, come si potrebbe pensare, ma è del tutto realistica. L’impermanenza (anicca), come dukkha, è uno dei tre fatti ineluttabili dell’esistenza. Tutti, senza eccezione, siamo soggetti all’invecchiamento, alla malattia e alla morte. Anche il sé non è stabile o duraturo: anatta (inconsistenza dell’io) è il terzo marchio dell’esistenza. 

“Qual è la Nobile Verità della Sofferenza? La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la separazione da ciò che si ama è sofferenza, non ottenere quel che si vuole è sofferenza. In breve, i cinque aggregati dell'attaccamento sono sofferenza.” 

(Saṃyutta Nikāya XLI, 11) 

Ignorare tale realtà è la causa principale della sofferenza, come insegna la seconda nobile verità

La terza nobile verità – esiste una fine della sofferenza: il dolore e l’insoddisfazione non sono tutto. 

La quarta nobile verità – l’Ottuplice sentiero – indica le azioni pratiche che possiamo intraprendere per il nostro risveglio e la liberazione dalla sofferenza della vita samsarica. L’ottuplice sentiero ci insegna a vivere in modo etico, a perfezionare la mente e a coltivare la saggezza.

I tre gioielli

Una delle più antiche forme di espressione di fede nel buddhismo consiste nel trovare rifugio nei Tre gioielli - noti anche come Triplice gemma o Tre tesori: il Buddha (l’esempio), il dhamma (gli insegnamenti) e il saṅgha (la comunità). Molti rituali e cerimonie nelle comunità buddhiste di tutto il mondo, così come la pratica quotidiana dei singoli individui, iniziano con la recitazione del voto dei tre rifugi:

  • Prendo rifugio nel Buddha.

  • Prendo rifugio nel Dhamma.

  • Prendo rifugio nel Saṅgha.

Cosa significa prendere rifugio nei tre gioielli?

Prendere rifugio è un modo per esprimere la propria dedizione e la propria fiducia nel sentiero del Buddha e per trovare riparo dalle vicissitudini della vita.

Il BUDDHA è saggezza. La parola “Buddha” significa “colui che conosce”,

Prendere rifugio nel Buddha con la frase “Buddhaṃ saranaṃ gacchāmi” non vuol dire che stiamo prendendo rifugio in una divinità o un profeta, ma in ciò che è saggio.

Prendendovi rifugio, guardiamo al Buddha come a un maestro e a un esempio: una persona comune che si è risvegliata, scoprendo la sua vera natura ed è divenuta una guida per una vita illuminata. Quando prendiamo rifugio nei tre gioielli, prendiamo rifugio anche nel nostro potenziale per la liberazione.

Quando i buddhisti si inchinano al Buddha non stanno adorando un dio, rendono invece omaggio al suo esempio e ai suoi insegnamenti. Molti fra i primi testi confermano questa prospettiva. Le ultime parole del Buddha riportate nel Canone pāli sono state tradotte in molti modi, ma in tutte le traduzioni il Buddha consiglia ai monaci che lo assistono di lavorare sodo per la propria liberazione e non dice: «Pregatemi quando non ci sarò più e vi salverò». 

Il DHAMMA è verità, è l’Insegnamento stesso, è qui e ora, in ogni cosa che possiamo  sperimentare attraverso i nostri sei sensi.

Prendere rifugio nel Dhamma, con la frase “Dhammaṃ saranaṃ gacchāmi “, vuol dire che il praticante si dedica a studiare e applicare i metodi insegnati dal Buddha. È il processo che lui stesso ha attraversato. Applicare le sue istruzioni significa che il praticante gradualmente elimina tutti i veli che oscurano la vera natura della sua mente di Buddha. 

Il SANGHA è virtù, la comunità dei nobili discepoli, tutti coloro che conducono una vita virtuosa, facendo il bene e astenendosi dal fare il male con azioni o parole. Prendere rifugio nel Saṅgha con la frase “Saṅghaṃ saranaṃ gacchāmi” significa che prendiamo rifugio nella virtù, in ciò che è buono, virtuoso, gentile, compassionevole e generoso. 

Tradizionalmente il termine Sangha si riferiva alla comunità di monaci e monache ordinati, ma oggi comprende tutti i praticanti buddhisti, laici e ordinati. Nella sua accezione più ampia, prendere rifugio nel saṅgha significa abbracciare la nostra parentela con tutti gli esseri viventi.

I Fondamenti